1779 – Ferdinando Galiani

Tra tutti gli amori terreni niuno certamente è più lodevole , più onesto , quanto quel della Patria. E quantunque a ciascuno sembri la propria esserne la più degna , e sola senza divisione d’affetti, senza comparazioni, senza rivalità l’onori, e l’abbia in pregio e l’ami; pure se fosse permesso tra questi doverosi amori far parallelo, niuna Patria a noi ne pare tanto meritevole, quanto Napoli per chiunque ebbe in sorte il nascervi cittadino.

Così crescer deve in noi la premura per questa nostra bellissima Patria, la quale per due secoli intieri fu senza suo demerito, senza suo fallo , per sola concatenazione del Fato politico dell’Europa costante bersaglio dell’avversa fortuna.
Spogliata de’ suoi naturali Re; esposta per superstiziosa ostinazione al rifiuto d’ogni pace, e quindi alle
perpetue ostilità de’ Maomettani, mentre restava sprovveduta di forze da difendersene, vide le sue marine tutte saccheggiate, bruciate, e gl’indifesi abitatori condotti in servitù.

Vide le interiori Provincie assassinate da enormi squadre di fuorusciti; i popoli oppressi da Baroni; ne’ Baroni alimentate con insidioso artifizio di seiagurata politica le discordie, e i rancori ; l’ universalità tenuta con egual perfida arte nella povertà, nell’ignoranza, e nella superstizione ;
negletti i pubblici edifizj; attraversato il commercio ; perseguitate le lettere, premiata , e tratta in trionfo l’ ipocrisia chiericuta , e la non men nefànda serella sua l’ ipoa crisia togata ; un governo Viceregnale negligente, e tumultuario, sempre spinto da acciecanti urgenze,  non mai regolato da avveduta lontana provvidenza ; ordini da aspettarsi tardi e da lontano da una Corte straniera; conto di condotta non mai reso con altro, che col farsi veder ritornato alla Corte ;

una catena di calamità, seguela di questa orribile situazione ; le più nobili antiche famiglie spogliate, e sbandite per sospetti di affezione ai loro antichi naturali Sovrani ; la fede, e la memoria verso di essi tacciata ne’ popoli per fellonia ; attribuito a caparbietà , e genio tumultuoso de popoli il naturale scoppio sotto la rapacità e crudeltà del governanti, il Santufficio tentato stabilire col corteggio de’ suoi orrori, non per zelo di religione , ma per fraude di politica sospettosa ; l’ estravasazione di quasi tutta la moneta ; il tosamento, o l’alterazione legale del valor di quella poca che restò, desertati i campi, perpetue carestie nel più fecondo di tutti i suoli ; forzato, alla ribellione il più gajo, il più placido, il più sofferente di tutti i popoli ; e per corona di tutto lasciato, distruggere da crudelissima peste il popolo il più buono, ed il più innocente.

Ecco l’orribile, e pure troppo, verace ritratto e compendio di tutta la nostra brutta, e dolente istoria a cominciar dal 1502, e terminare al 1734.

Chi sarà così insensato Cittadino, che non senta lacerarsi il cuore per interna pietà verso una Patria, che fu tanto bella, e che fa tanto immeritamente sventurata ?

Quello stesso dialetto Pugliese , che primogenito tra gl’ Italiani, nato ad esser quello della maggior Corte d’Italia, destinato ad esser l’organo de pensieri dei più vivaci ingegni, sarebbe certamente ora la lingua generale d’Italia, se quella, Felice Campania, e quell’Apulia, che lo produssero, e l’allevarono, si fossero sostenute, quali prime, e non quali infime, e le più derelitte delle provincie Italiane. La gente, che lo parla, avendo conserscata per venti secoli, anche in mezzo alle sue tante battiture , una inestinguibile allegria, e quasi memore d’esser discesa dagli Osci, lo ha destinato e consecrato tutto alla lepidezza, e talvolta alla scurrile oscenità : e tanto si sono incarnate le idee colle voci, che pare ormai, che parlar Napoletano, e buffoneggiare sia una stessa cosa.

Alle menti filosofiche è manifesto, che sì fatta connessione d’idee non è figlia della natura ,
ma della sola abitudine; e quando anche non fosse così, e fossevi nel suono del dialetto Napoletano qualche occulto difetto, che ne togliesse la dignità e la gravità, quel saggio detto di Orazio “ridentem dicere verum quid vetat” basterebbe a convincere, che anche in un dialetto scherzoso si possan pronunziare le più serie, e le più importanti verità .

Noi non disperiamo adunque ancora; e se l’amor della Patria non ci accieca, e ci trasporta, andiam dicendo tra noi, chi sa che un giorno il nostro dialetto non abbia ad inalzarsi alla più inaspettata fortuna; difendersi in esso le cause; pronunciarvisi i decreti; promulgarvisi le leggi; scriversi gli annali; e farsi in fine tutto quello , che al patriotico zelo de Veneziani sul loro niente più armonioso dialetto è riuscito di fare.